google.com, pub-1908550161261587, DIRECT, f08c47fec0942fa0 Pensieri sparsi

martedì 7 febbraio 2023

Supereroi

Mr. Rain è un altro dei nuovi arrivati ​​di #Sanremo2023 , presenta "Supereroi", dove spicca il coro dei bambini in una canzone che parla di due persone che scelgono di affrontare insieme le avversità e guarire così le loro ferite.

 


mercoledì 5 ottobre 2022

Il Papa, la Crisi Ambientale e i Leader in Prima Linea

Nel 2015, Papa Francesco ha scritto Laudato si', una lettera enciclica sulla crisi ambientale, indirizzata a ciascuna persona nel mondo. Qualche anno dopo, quattro voci rimaste inascoltate nelle conversazioni globali sono state invitate a un dialogo senza precedenti con il Papa. Provenienti dal Senegal, dall'Amazzonia, dall'India e dalle Hawaii, portano la prospettiva e le soluzioni dei poveri, degli indigeni, dei giovani e della natura in una conversazione con lo stesso Papa Francesco.

Questo documentario segue il loro viaggio a Roma e le straordinarie esperienze che hanno avuto luogo lì, ed è ricco di commoventi storie personali e delle ultime informazioni sulla crisi planetaria e sui problemi subiti dalla natura e dalle persone.

Perché, nelle parole di Lorna Gold, presidente del Movimento Laudato Si’, “una volta che lo sai, NON PUOI distogliere lo sguardo”.
#LaudatoSiFilm 

Scopri di più sui protagonisti e su come agire su https://TheLetterFilm.org

lunedì 14 febbraio 2022

La morte, la vita - Blu Celeste (Blanco)

Un brano che in tanti hanno definito intenso e inaspettato. Forse perché parlare di morte, lutto e sofferenza non è mai immediatamente associabile alla spensieratezza che ci si può aspettare da un rapper di appena 18 anni.

Niente di più sbagliato perché gli anni che Blanco sta vivendo sono gli anni della sensibilità estrema. La cosa difficile da fare è trasformare questi sentimenti in qualcosa di concreto come una canzone. Ed è proprio qui che sgorga il talento, quando c’è. Pochissimi giorni dopo il 10 settembre 2021 - pubblicazione del brano - l'album che lo contiene è in cima alla classifiche di Spotify.

Con le sue parole in rima dice di avere 16 anni, per cui è probabile che abbia scritto questi versi almeno un anno prima di lanciare il disco. Blanco, cresciuto ascoltando Dalla, Battisti e Pino Daniele, in “Blu Celeste” nel testo elabora un lutto. Non si sa chi sia la persona morta. Forse Celeste, come il nome tatuato anche sul ventre di Riccardo - evidente nel videoclip - come sembra accennare nel brano. Forse no. Parla di un fratello, qualcuno più grande.

Ma non è importante capire chi sia il soggetto a cui sono rivolte queste rime. Quello che colpisce forte è che i versi cantati sono l'evidente frutto di un lungo e sofferto percorso interiore. Sono la sofferenza dell’artista nell'accettare la morte, farsene carico e raccontarla. E sono anche lo strumento per sconfiggere l’agonia di portare un peso rimasto dentro per molto tempo e mai sfogato.

Ma ora, finalmente, esce allo scoperto con tutta la sua struggente forza e intensità.

TESTO

Quando il cielo si fa blu Penso solo a te Chissà come stai la su Ogni notte È blu celeste, è blu celeste è blu celeste il cielo è blu come il tuo nome blu come l’inchiostro di sta penna che scrive parole senza pensarle e io non posso starne senza ho la ragione che rallenta ogni mio senso di colpa e non c’è un mostro che la tolga da me e mi metterò al riparo mentre imparo ad accettarlo che se il tempo lo ha già fatto ora sei un mio ricordo un mio ricordo immaginario del fratello che vorrei nato nel mese di acquario sarei il pesce e tu lo squalo siamo grandi per sognare tu saresti maggiorenne io ormai sono un sedicenne vado per i diciassette festeggerò da solo un altro compleanno di merda Quando il cielo si fa blu Penso solo a te Chissà come stai la su Ogni notte È blu celeste è blu celeste è blu celeste Quando il cielo si fa blu Penso solo a te Chissà come stai la su Ogni notte È blu celeste è blu celeste è blu celeste Avevo un peso dentro un peso da levare ci ho messo un pezzo a raccontarti sotto le luci di questa camera tutto un disastro, doveva essere tutto perfetto tipo, luci spente vorrei scriverti al buio tipo, nhanhanha luglio tipo, scriverti senza volerlo tipo, nhanhanha bisbiglio tipo, nhanhanha buio al buio Quando il cielo si fa blu Penso solo a te Chissà come stai la su Ogni notte È blu celeste è blu celeste è blu celeste Quando il cielo si fa blu Penso solo a te Chissà come stai la su Ogni notte È blu celeste è blu celeste è blu celeste Music video by BLANCO performing Blu Celeste. An Island Records release; © 2021 Universal Music Italia Srl

venerdì 24 settembre 2021

Diego Bianchi intervista Greta Thunberg

“Non esiste un pianeta B”. 
Nel video l'intervista di Zoro a Greta Thunberg per il terzo anniversario del suo primo sciopero che ha poi portato alla nascita di Friday for future.

domenica 1 agosto 2021

L’oscuro dramma del monaco recluso (Reperti 58: Angelini alla Certosa di Pavia)


Tanta pace in cella, se è nel tuo cuore.

Dalla Finestra

58. Nelle pagine e nelle lettere di antiquata finezza, e per questo belle, per non dire confortanti, di Cesare Angelini (1886-1976) che ho letto non ho trovato finora moltissimi monaci; un po’ di abbati, «lodatissimi per pietà e dottrina», i dodici monaci biondi che seguirono Colombano e arrivarono al Lambro, qualche altra comparsa sfumata sullo sfondo: lì troverò, anche se forse gli sembravano un po’ lontani, come Benedetto che, salvata l’Italia e la civiltà, finì «in monastero a scandir salmi o a chiosar codici» (ma «creando tuttavia quelle correnti spirituali che non paiono ma salvano il mondo»). Ho già trovato però un mirabile testo dedicato alla Certosa di Pavia, pubblicato nel 1970 nella raccolta Questa mia Bassa1.

Mirabile per il tono di ferma malinconia, derivato da paziente frequentazione unita a una erudizione discreta, che sa di cara memoria più che di studio, per il ricordo conservato di una visita estiva con Ada Negri (e del «nostro pane e della nostra frittata» con cui «s’andò a fare un po’ di cena in un alberguccio poco discosto, tra i campi e i fossi»), per lo sguardo sereno che accompagna le informazioni («guardo i monumenti come guardo gli alberi, solo per rallegrarmi»), e per un’improvvisa apertura sul chiostro grande, la cui immagine bucolica cede a poco a poco il passo a una considerazione tanto vera quanto appena accennata:

«Dai portici… si passa al chiostro grande: un gran campo che secondo le stagioni, s’annunzia con sapore d’erba o di fieno, circondato con alti portici a vela e dove, staccate una dall’altra, s’allineano le ventiquattro celle dei monaci. Piacerebbe vederne uscire uno da una. Ma da troppo tempo la Certosa, che pure è ancora piena della loro presenza, è senza certosini; fuor quello dipinto (e par vivo) dal pio Bergognone su una parete interna del tempio, nell’atto d’affacciarsi a una finestra a dare il benvenuto ai visitatori che arrivano da ogni paese.

«E qui, tacendo la bellezza un poco provocante dell’arte, la Certosa torna natura; e nel gran silenzio, che è lo spazio in cui l’anima ha bisogno, il visitatore ritrova il senso intimo e religioso del monumento: cella, coelum, secondo la parola di Caterina da Siena.

«Anni fa, sull’architrave d’una cella lessi un motto propiziatorio: Pax multa in cella. E, sotto, scritta in un secondo tempo, un’altra parola che pareva rispondere alla prima: Si est in corde. Scritta da qualche visitatore impietoso o dalla stessa mano dell’ospite? E, per un momento, nel balenio dell’oscuro dramma del monaco recluso, mi parve che tutta franasse la grande serenità del monumento.»

Per una curiosa coincidenza, poco prima avevo letto una frase di un eremita contemporaneo che all’improvviso è risuonata in singolare consonanza con le parole di Cesare Angelini. Un brevissimo appunto di Frédéric Vermorel che si mette in guardia dall’«idolatria dei luoghi»: «La vocazione non coincide mai con il luogo, neppure per il monaco benedettino che fa voto di stabilità. La vocazione è sequela, sradicamento»2.

La bellezza dei luoghi monastici, il fascino delle valli remote, delle isole, del chiostro grande della Certosa di Pavia e di tutti i chiostri, della cella: tutte cose che rinfrescano solo il visitatore in fuga dal caos cittadino o segni di qualcos’altro?

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  1. Cesare Angelini, Questa mia bassa (e altre terre), All’Insegna del Pesce d’Oro 1970, seconda edizione accresciuta 1971
  2. Frédéric Vermorel, Una solitudine ospitale. Diario di un eremita contemporaneo, prefazione di G.M. Bregantini, Edizioni Terra Santa 2021, p. 136.
______
Grazie a Mortimer Potts 

martedì 18 maggio 2021

Battiato

33 GIRI! Che storia! Una volta c'erano questi grossi vinili! E di lui ne ho molti.

Mi sono sempre piaciute le sue canzoni.

Sin dai tempi della sperimentazione musicale iniziale di Fetus (https://www.youtube.com/watch?v=lbM-6LkkAS4)


continuai con Aria di rivoluzione dell''album Sulle corde di Aries (https://www.youtube.com/watch?v=DdmO_BnbpHM

fino ad arrivare alla svolta del successo con L'era del Cinghiale Bianco dell'omonimo 33 giri (https://www.youtube.com/watch?v=7ae9RRpp0sI)

Ho infine il bellissimo ricordo di lui anche di quando riuscii a vederlo dal vivo nel suo tour del 1982 con con la famosissima "Bandiera Bianca" (https://www.youtube.com/watch?v=1U-LMVq2nK8).
Questo è il video è del concerto di Verona.

giovedì 9 luglio 2020

Un cesto di olive - José Luis Blanco Vega

José Luis Blanco Vega è un poeta che pochi conoscono e molti inconsapevolmente ammirano. Suoi sono tanti inni liturgici in spagnolo e che "nessuno sa di chi siano".

Luis Alonso Schökel, amico del poeta, dice di lui: "La sua poesia è classica e moderna, versatile e sicura. Non solo ha letto moltissime poesie di tutte le età, ma è un lettore formidabile che ha una grande capacità di assimilare, di convertire ciò che viene letto nella sua sostanza. Ed è un creatore. Per il quale non chiede il permesso ai Cenacoli o è un fratello di tendenze. La sua opera è poesia. Mettiamo gli aggettivi per capirci supponendo di aver prima compreso la poesia. Ricco di intuizioni e proprietario di risorse formali. Perfino le poesie sembrano un'esibizione formale spensierata o nascondono preziose intuizioni. Poesie robuste e potenti, che sembrano ignorare la forma, sono state incessantemente cesellate. Probabilmente è un poeta nel grembo di sua madre, come direbbero gli ebrei".

José Luis Blanco Vega, SJ, asturiano di nascita, alternava l'insegnamento della letteratura spagnola al suo impegno di scrittore e poeta.





***

Un cesto di olive
- Bacchiatore, cosa porti per mio figlio?

- Olive del Frutteto degli Ulivi.

 - Senti, non essere amareggiato.

 - L'amarezza, Signora, viene dopo.

 - Cosa me ne faccio di un cesto di olive nuove?

 - Una torta d'olio se la macinassi. E un lampadario nel caso in cui i Re Magi perdano la loro stella.

 - Guarirò il Bambino con gli avanzi.

 - Il vostro Bambino è di carne diversa dall'uomo.

 - Dio lo custodisca per me senza dolore per trent'anni.

 Ma chi lo sa!

***

El invisible - José Luis Blanco Vega

La Compagnia di Gesù venne fondata in Spagna ai tempi della Riforma cattolica. Il buon cattolico spagnolo doveva evitare due temi – quello erotico e quello eretico – che hanno grandi vincoli artistici. La nascente Compagnia visse pertanto in un’atmosfera di diffidenza verso la poesia, che in particolare col generalato di Claudio Acquaviva, si trasformò in proibizione.
Dopo la restaurazione della Compagnia di Gesù del 1820 e per tutto il XIX secolo non è possibile trovare gesuiti poeti spagnoli di rilievo.
Nel XX secolo di particolare valore è la figura di José Luis Blanco Vega (1928-2005), gesuita asturiano, che ha unito la docenza di Letteratura spagnola alla vocazione poetica.
Persona molto riservata e umile, José Luis solo alla fine della sua vita ha permesso che le sue composizioni venissero pubblicate.
Il poemetto è tratto dalla raccolta "…Y tengo amor a lo visible"Il testo è la rievocazione dell’Esodo in termini che accendono i sensi dell’immaginazione e rendono palpabile l’evento e viva la presenza del Dio invisibile, che «del deserto fa pane e della luce una bevanda pura». La traduzione italiana è di Giuseppe Romano.


***
L'invisibile 
Loro avevano visto da vicino
gli dei di terribile bellezza,
capaci di sciogliere la terra,
di promuoverne i visceri
a vino e pane, ai legumi lieti
che poi si spartivano nelle cucine d’Egitto.
Oh, come scordare che quegli dei dimorano
nei luoghi fecondi, nel limo dei fiumi,
nell’erba intrisa, nel ventre dei campi,
e vegliano attenti le sponde dell’acqua
che giunga fino al sonno del grano
e corrono alacri e fertili
tra i greggi di pecore e capre,
di tori e di vacche copulanti al sole
come se unissero i poli della terra?
Ma a loro imposero la fuga notturna
dalle porte marchiate con fregi di sangue,
mentre l’angelo del Signore appariva nei coltelli
dell’ultima cena dei primogeniti.
Quando giunse l’alba
e videro che luogo attraversavano,
la sabbia dove la luna aveva dormito
cocente a mezzogiorno,
allora Israele gridò e si ricordò degli dei
dotati di faccia, o testa di cane
o seni numerosi, corna taurine
(così si poteva riconoscerli)
e si misero a reclamare un dio a portata d’occhio
in modo da eventualmente colpirlo
o montargli sulle spalle
o perquisirlo per rubargli un raccolto.
Mosè aveva detto loro: il nostro dio non beve,
non spezza il pane, non gradisce il grasso del bue
che stilla sulle braci,
perché è invisibile,
del deserto fa pane
e della luce una bevanda pura.
E il popolo fece stridere i denti,
si tappò le orecchie.
Fu allora che consegnarono al fuoco i bracciali,
i piccoli anelli, le collane di pepite d’oro;
tutto a bruciare nella storta rovente
per forgiare il toro, l’animale sicuro,
e il popolo ballò festoso
intorno a un dio riconoscibile.
Credettero che i suoi occhi dorati
scrutassero i confini del deserto,
che le sue gambe li avrebbero aiutati a varcarlo
e che il suo sesso avrebbe impregnato la sabbia
finché scoppiasse in pani e grappoli.
Al mattino Mosè tornò dal monte
e l’accampamento dormiva sotto l’idolo.
Si destavano ebbri,
si guardavano storditi dal vino
e puntavano le dita verso il toro
solitario nel centro del bivacco.
Non si erano mossi di un millimetro.
Non era cambiato niente. Sfrigolava la sabbia rossa,
nessun prodigio moltiplicò la farina degli orci,
l’olio non si effuse come un silenzio gentile,
né l’acqua si accostò alle tende
a chiamarli per nome.
Fu allora che Mosè gridò, alzò il braccio
verso la luce che cresceva implacabile,
la luce pronta a divorare il popolo
con inclemenza folgorante.
Ah, tornava il dio invisibile, l’assenza fragorosa
a stendere il deserto come un mantello,
e a uno a uno sarebbero caduti, finché la sabbia
fosse coperta di ossami biancheggianti.
Soltanto alcuni raggiunsero la fine del deserto,
piantarono limoneti, aranceti,
ebbero figli e figlie
e dissero loro:
— Rendiamo grazie
a colui che non ha volto,
a colui che non ha mani,
a colui che non ha piedi,
a colui che la pioggia non bagna
e che il fuoco non brucia…
(Era una lista lunga,
fino a svestire Dio di tutto l’uomo)
E i bambini sbucciavano le arance,
bevevano acqua e limone, mangiavano
pane di frumento
e dicevano: Amen.
Qualcuno degli anziani, a un tratto, pensieroso
ricordava un tempo
in cui molti morivano chiedendo
del volto di Dio.
***

venerdì 22 maggio 2020

Come leggere questi tempi così nuovi e inaspettati, guardando concretamente al futuro

Il post sul sito del gruppo scout Milano 34

Grazie al gruppo scout AGESCI Milano 34 per la condivisione della registrazione video dell'incontro che la loro Comunità Capi ha fatto con Fabio Sbattella, Direttore dell'Unità di Psicologia dell'Emergenza dell'Università Cattolica, autore dei volumi "Fondamenti di Psicologia dell'emergenza", "Manuale di Psicologia dell'emergenza" e di molti lavori scientifici relativi alla psicologia dello sviluppo.